Luigi Ghirri – Lezioni di fotografia
Luigi Ghirri, nato a Scandiano nel 1943 e morto a soli 49 anni a Roncocesi (frazione di Reggio Emilia) nel 1992, è stato un grande fotografo italiano.
Come scritto nel risvolto di copertina, Ghirri “ha rinnovato con le sue fotografie il nostro modo di guardare il mondo, e c’è un’intera generazione di fotografi che non potrebbe esistere senza la sua opera”.
Questo libro, pubblicato nel 2009 ed edito da Quodlibet, non è stato scritto da Luigi Ghirri, e non nasce quindi come “libro”, ma è la trascrizione delle lezioni di fotografia tenute dal fotografo emiliano all’Università del Progetto di Reggio Emilia tra il gennaio 1989 e il giugno 1990.
È stato realizzato con il contributo della Biennale del Paesaggio di Reggio Emilia e si inserisce all’interno di un progetto complessivo di attività svolte dalla Biennale per valorizzare la figura di Luigi Ghirri.
Grazie agli appunti degli alunni e alle registrazioni audio, gli autori hanno trascritto i contenuti delle lezioni, mantenendo anche i titoli delle lezioni stesse e l’ordine cronologico in cui Ghirri le ha tenute.
I curatori del libro sono anche riusciti a recuperare le immagini che Ghirri mostrava ai suoi alunni in aula nelle lezioni di fotografia, e le hanno inserite nel testo.
Mi sono immedesimato negli studenti che seguivano le lezioni di fotografia di Ghirri e quindi in questa mia recensione ho voluto riportare alcuni appunti che ho preso durante la lettura del libro. Prendeteli come un riassunto, una sorta di takeaways, ma se vi piace fotografare, vi consiglio vivamente di leggere questo libro, anche se a volte la lettura non è semplice, proprio per via del fatto che si tratta della trascrizione delle lezioni.
Video riassunto del libro
Per chi preferisce ascoltare il contenuto, ho realizzato questo video con il riassunto dei concetti chiave del libro.
Recensione del libro e takeaways
Approccio alla fotografia
Nella prima parte del libro Ghirri racconta ai suoi studenti il suo approccio alla fotografia, il suo modo di lavorare, il perché ha fatto determinate scelte per i suoi progetti.
Definisce il suo approccio “dilettantesco”:
Non sono andato a scuola in un laboratorio di fotografia, non ho fatto il fotoreporter né il fotoamatore. La mia esperienza è nata piuttosto da una frequentazione dell’immagine, da una passione un po’ dilettantesca, se si vuole, ma che si è immediatamente, fin dall’inizio, orientata ed esplicata all’interno del mondo dell’arte.
Il suo ambito di interesse era soprattutto il mondo della fotografia sperimentale e di ricerca.
Ghirri intende la fotografia come un modo di relazionarsi col mondo, nel quale il segno del fotografo, la sua storia personale, il suo rapporto con l’esistente è forte e deve orientarsi nell’individuare un punto di equilibrio tra la propria interiorità e ciò che sta all’esterno e che continuerà ad esistere anche senza di noi.
La fotografia come rapporto tra luce e buio, visibile e non visibile
La fotografia si esplica sempre all’interno di un dualismo perfetto. Se uno ci pensa, nella fotografia c’è il negativo e il positivo. È un rapporto tra la luce e il buio. È un giusto equilibrio tra quello che c’è da vedere e quello che non deve essere visto.
Quando noi fotografiamo, vediamo una parte del mondo e un’altra la cancelliamo.
Noi guardiamo una fotografia, è vero, guardiamo un’immagine, però nella nostra mente, consciamente o inconsciamente, proiettiamo un mondo reale che questa immagine rappresenta. Esiste sempre, quindi, una presenza della fotografia e un’assenza dell’uomo, della persona, dell’oggetto, dell’evento in essa rappresentato. C’è un rapporto di singolare analogia con la realtà e, nello stesso tempo, un’evidente differenza dalla realtà.
Se ci facciamo una foto, nella fotografia non ci vediamo come solitamente vediamo noi stessi, ma nel modo in cui ci vedono gli altri.
Lavorare per progetti e non per singole immagini
Quando ha iniziato le sue ricerche e i suoi progetti fotografici, Ghirri lo ha fatto perché ha iniziato a concepire il suo lavoro fotografico non più in termini di singola immagine, come invece avviene nella concezione classica della fotografia di laboratorio, di committenza e della fotografia d’autore, dirette a trovare l’immagine capolavoro, sintesi di un determinato modo di vedere. Ghirri ha cercato di costruire e progettare lavori e progetti fotografici pensando a una forma di narrazione per immagini anziché alla costruzione di singole immagini. Quando fotografa non pensa alla fotografia come oggetto a sé stante, ma cerca di vederla inserita in un contesto. Per Ghirri è il libro fotografico l’esito finale della comunicazione tramite foto. Il suo primo libro, autoprodotto, è stato Kodachrome, del 1978, che raccoglie 92 foto scattate tra il 1970 e il 1978.
Il rapporto con lo spazio e la luce
Ghirri racconta poi il suo modo di rapportarsi con gli spazi e la luce, l’importanza di sfruttare la luce ambiente negli interni e di non mettere in posa gli oggetti.
Lavorare sul campo, per strada, fotografare le architetture permette di sviluppare una forte sensibilità e attenzione nei confronti della luce, che chi lavora in studio non avrà mai. In esterno non si ha infatti il controllo delle luci. Ghirri preferisce il rapporto di conoscenza con il luogo e la sua rappresentazione, studia il momento migliore della giornata per avere dalla luce naturale i colori che desidera per rappresentare al meglio quel luogo. Di solito evita di fotografare tra le ore 11.00 e le 13.00 perché la luce è più cruda, disegna in maniera molto marcata le ombre e accentua i contrasti.
Insegna poi a porre attenzione al controllo della definizione: a seconda del progetto e del risultato che si vuole ottenere bisogna scegliere quando metter tutto a fuoco e quando sfruttare lo sfocato. O quando usare il mosso per non rendere riconoscibili le persone, con l’intento di evocare una figura senza dare un’identità precisa, categorica e specifica al personaggio.
Fa un esempio mostrando questa foto scattata a Ponza nel 1986.
In questo caso era assolutamente impensabile cercare di fermare le persone anche solo per un attimo. Come vedete alcune sono mosse mentre altre sono sufficientemente ferme. A proposito di messa a fuoco: il tavolo e la seggiola in primo piano sono sfocati, il fuoco comincia da questo punto e il paesaggio dietro è tutto a fuoco. La possibilità massima che mi concedeva la macchina era quello di mettere a fuoco da questo punto all’infinito. Più vicino verso di me mettere a fuoco era assolutamente impossibile, se non utilizzando un tempo di posa molto lungo, che avrebbe fatto risultare mosse tutte le persone. Ho preferito questo effetto di sfocato in primo piano, che non di dà eccessivo fastidio.
Oltre al controllo dei rapporti cromatici, alle scelte di luce e di profondità di campo, è molto importante riuscire a individuare il punto di equilibrio tra quello che includeremo nella immagine è quello che rimarrà fuori.
La fotografia è sempre un escludere il resto del mondo per farne vedere un pezzettino.
Ad esempio in merito a questa foto qui sopra, scattata a Milano Marittima nel 1988, dice:
Volevo evocare uno sguardo lievemente malinconico, nostalgico, su un determinato tipo di architettura marina, un soggetto che ha un’iconografia definita. Ho scelto quindi l’immagine di due cabine, chiudendola quasi in un sistema di quinte teatrali, utilizzando le due parti della cabina come fossero due colonne all’interno delle quali sta la rappresentazione di tutto il resto. Ritengo fondamentale la semplicità nel rapportarsi con il soggetto, quindi anche nella costruzione della rappresentazione. Uso abbastanza spesso degli schemi, o perlomeno degli escamotage come questo dell’inserimento di quinte, cercando nella realtà quadri che appaiono come scenografie già costruite, che esprimono la sintesi, il processo di inclusione e di scarto.
Anche in questa foto scattata a Casa Benati, Reggio Emilia, nel 1985, ritorna sul discorso delle “quinte”.
In questa foto non è mai stato spostato un oggetto, nemmeno questo mappamondo che è così bello lì in mostra in primo piano. Era semplicemente la stanza a essere organizzata in questo modo. Mi sono avvicinato, ho scelto un punto di vista non centrale ma di tre quarti per dare l’idea della complessità dell’ambiente. Ho adoperato questa piccola parete, questa sezione di mobile che faceva parte della continuità della stanza, come una quinta, quasi a creare un palcoscenico sul quale si vede un primo piano e uno sfondo.
Un altro esempio sul discorso della definizione è quello sui riflessi, come in questa immagine scattata a Lucerna nel 1971.
Questo è un cartellone pubblicitario in parte cancellato con il riflesso, nel senso che mi sono messo in una posizione nella quale il cartellone rifletteva il paesaggio che avevo alle spalle, permettendomi di fotografare due realtà differenti: quella che del cartellone e quella del paesaggio che avevo alle spalle. Mi piaceva la possibilità di fotografare contemporaneamente ciò che avevo davanti e quello che c’è alle spalle, perché corrisponde a una percezione normale che proviamo girando per strada. Se vi fermate di fronte a una vetrina, vedete gli oggetti attraverso il vetro ma vedete anche il riflesso di voi stessi e di quello che avete alle spalle.
Tecnica e attrezzatura
Non mancano consigli ai suoi allievi sulla scelta delle pellicole e sui valori ASA e DIN, e sulla corretta comprensione delle questioni tecniche come uso dei tempi, dei diaframmi, dell’esposimetro e della profondità di campo.
Ghirri spiega in questo modo il funzionamento della fotocamera:
La macchina fotografica sostanzialmente funziona come il nostro occhio: se c’è molto buio, noi non ce ne accorgiamo ma le nostre pupille si dilatano per far arrivare più luce alla retina; al contrario, se c’è molto sole, la pupilla si stringe, se il sole ci abbaglia addirittura noi tendiamo a chiudere gli occhi. Abbiamo una specie di esposimetro interno, biologico, che ci consente di equilibrare tutti i valori della luminosità. La macchina fotografica non è nient’altro che la trascrizione meccanica di quello che fa il nostro occhio abitualmente, quotidianamente, 24 ore su 24, in teoria. I due meccanismi sui quali è possibile agire per regolare l’equilibrio della luce – e teniamo presente che la parola fotografia significa scrittura con la luce – sono il diaframma e il tempo di posa.
Parla di attrezzatura perché conoscere bene la tecnica e il funzionamento della macchina fotografica permette di avere il pieno controllo del risultato dello scatto.
Consiglia infatti di iniziare a scattare in manuale. Siccome la fotografia è scrittura con la luce, è importante apprendere a scrivere e leggere con la luce attraverso l’oggetto che si ha mano, la fotocamera.
Come primo obiettivo consiglia un 50 mm, perché copre un buon 80% delle esigenze comuni, anche se l’equivalente del nostro campo visivo è il 35 mm.
Un consiglio che Ghirri da ai suoi alunni è che, invece di inseguire sempre gli ultimi modelli di fotocamere, è più utile cercare di fare il meglio possibile con quello che si ha a disposizione.
Bisogna imparare a lavorare a lungo sull’immagine, sull’inquadratura, sulla propria sensibilità e cercare di rapportare la propria sensibilità particolare a quello che si vuole ottenere dalla rappresentazione, utilizzando i mezzi che abbiamo, piuttosto che pensare sempre che si sarebbe potuto fare meglio con un’altra macchina.
Esercizi fotografici proposti da Luigi Ghirri
Oltre alla teoria, non mancano gli esercizi fotografici proposti ai suoi alunni per mettere in pratica quello che si è appreso.
Esercizi fotografici 17/2/1989
Esercizi sul diaframma – tempo:
- Bloccare immagini di soggetti in movimento (es. treno in corsa)
- Fotografare lo stesso paesaggio in diverse ore del giorno
- Foto in controluce
- Fotografare soggetti con diversi tipi di luce (incidente, riflessa, mista)
- Fotografare interni utilizzando la luce esterna o mista (inserire nell’immagine la sorgente di luce)
- Fotografare la stessa immagine con differenti combinazioni di diaframma-tempo (es, 1/30 a f16, poi 1/60 a f11, poi 1/125 a f8, ecc.)
Esercizi sulle pellicole:
- Fotografare lo stesso paesaggio in diverse ore del giorno
- Fotografare interni illuminati con luce mista con pellicole per interni e per esterni
- Fotografare salone (hall di teatro, bar) mettendo a fuoco tutto il locale
- Scegliere pellicole a bassa o alta rapidità ed evidenziarne le caratteristiche nella scelta dell’immagine
- Sperimentazioni di filtri e gelatine
Esercitazione di fotografia 15/3/1990
- L’inquadratura fotografica: ricerca di formati, cornici, mascherine
- Ricerca di inquadrature naturali: cancelli, viali, finestre, ecc.
- Ricerca di soglie nella realtà che si autorappresenta: nello spazio, nel tempo, nell’avvenimento
Fotografia e realtà: “Non è venuta come vedevo”
La fotografia appare sempre diversa da quello che si vede nella realtà.
Tra quello che si vede nella realtà e ciò che appare in una fotografia c’è sempre uno scarto. La direzione deve essere quella di cercare di ridurre lo scarto tra quello che vediamo e quello che, parzialmente, vedremo nella fotografia, senza ricercare una mera fotocopia della realtà.
La fotografia, come la scrittura, ha una sua ambiguità, un suo lessico, una sua logica interna, un suo ritmo, tutti valori che non appartengono a una fotocopia.
Un problema fondamentale della fotografia è infatti il rapporto tra quello che devo rappresentare e quello che voglio lasciare fuori dalla rappresentazione. Il problema fondamentale della fotografia è sapere esattamente che cosa voglio rappresentare, e che cosa voglio comunicare con la mia immagine.
Storia della fotografia
Una lezione è dedicata anche alla storia della fotografia. Interessante il fatto che la camera oscura (o camera ottica) venisse usata in pittura già nel 1600. Ghirri cita molti pittori e artisti e le loro opere perché spiega che è importante conoscere la storia dell’immagine, non solo dell’immagine fotografica.
La soglia e l’inquadratura
Una parte molto interessante è quella in cui Ghirri introduce il concetto di soglia, intesa come il punto di passaggio tra il mondo interno e il mondo esterno. Nella sua poetica usa la soglia in senso metaforico per indicare:
Un confine tra l’interno, quello che pensiamo, quello che vediamo, quello che possiamo vedere, quello che dobbiamo vedere e quello che invece vediamo nella realtà e che determina un’osservazione comune, cioè tra il nostro interno e l’osservazione del mondo.
Questo punto di equilibrio tra mondo interno e mondo esterno in fotografia, Ghirri lo ha identificato con l’inquadratura.
Nel momento in cui si scatta ci si trova sulla soglia, bisogna fare una valutazione esatta su quello che deve essere tralasciato e quello che invece deve essere compreso. Ci si trova sempre di fronte a un dilemma fondamentale: il rapporto tra quello che si vuole rappresentare e quello che si vuole lasciare fuori dalla rappresentazione.
L’inquadratura determina quello che sta dentro ma anche quello che sta fuori dal frame.
Questo è un problema fondamentale della fotografia, cioè sapere esattamente che cosa voglio rappresentare, e che cosa voglio comunicare con la mia immagine.
Esistono delle inquadrature naturali, termine con cui Ghirri si riferisce agli spazi nei quali il nostro sguardo è già guidato e orientato. Si può trattare anche di cose molto semplici come ad esempio un cancello, che non segna solo il limite o l’accesso a una proprietà, ma guida il nostro sguardo in determinate direzioni. Anche la finestra è una delle inquadrature naturali più facili e immediate.
Un esempio di inquadratura naturale lo troviamo anche in questa foto scattata nel 1977 a Versailles.
Questa è una finestra fotografata a Versailles. Mi aveva interessato questa inquadratura perché all’interno della stanza, attraverso la finestra, scomposte in questo modo, comparivano quattro immagini diverse, ognuna con una sua autonomia.
Nelle foto queste strutture assumono una funzione precisa: diventano come soglie di accesso a qualcosa, di accesso al mondo esterno, devi guardare attraverso, danno un ordine al nostro sguardo.
Il problema è ordinare lo sguardo.
[…] Dare un percorso e ordinare lo sguardo in una certa direzione.
È ovvio che non basta fotografare una porta chiusa o una porta spalancata verso la strada. Il problema, al contrario, è superare la semplice riproduzione della soglia e farla diventare un elemento sia dello spazio che del tempo, soprattutto dello spazio, un elemento di accesso alla visione del mondo esterno o a un determinato modo di rappresentare il mondo esterno. E questo deve emergere in due direzioni: attraverso la scelta dell’inquadratura fotografica e attraverso la scelta dei luoghi da riprendere, ricordando che la fotografia è essenzialmente un dispositivo di selezione e attivazione del vostro campo di attenzione.
La fotografia consiste essenzialmente in due cose: prima di tutto nel riuscire a capire cosa è necessario includere all’interno dell’immagine; il secondo aspetto riguarda il come riuscire a dare a questo ritaglio del mondo esterno – attraverso il rapporto con la luce, con lo spazio, con il momento – una valenza comunicativa.
Al centro della fotografia, i due grandi elementi espressivi sono da una parte l’inquadratura e dall’altro la luce, quindi il tempo di passaggio della luce, e dunque, di conseguenza, anche il tempo. La fotografia essenzialmente riguarda un giusto e corretto rapporto tra spazio e tempo. La spazialità dell’esterno e il tempo di realizzazione dell’immagine.
Lasciare delle zone di mistero
Ghirri torna poi ancora sul discorso delle serie di fotografie:
Secondo me la fotografia è sostanzialmente una narrazione in sequenza. Mentale. Certo, le fotografie si fanno una alla volta e vanno viste una alla volta, però io penso sempre a una specie di narrazione che continua oltre l’immagine singola. Per questo lascio sempre, nelle mie immagini, dei punti o delle vie di fuga, comunque cerco di non chiudermi mai in un’immagine.
Il fascino di un’immagine sta anche nel trovare un equilibrio tra quello che si deve vedere e quello che non si deve vedere. Non deve essere una fotocopia della realtà. […] Io preferisco questa interrogazione continua su quello che si deve vedere e quello che non si deve vedere. Mostrare come ci sia sempre nella realtà una zona di mistero, una zona insondabile che secondo me determina anche l’interesse dell’immagine fotografica.
Immagini per la musica
L’ultimo capitolo, o meglio l’ultima lezione è poi dedicata alle immagini per la musica.
Ghirri ha realizzato le copertine di vari album musicali.
Sicuramente la più famosa è la copertina del doppio LP dei C-C-C-P- del 1990 intitolato Epica Etica Etnica Pathos.
Sommario libro
Una passione anche un po’ dilettantistica (27 gennaio 1989, prima parte)
Dimenticare se stessi (27 gennaio 1989, seconda parte)
Ricerche (3 febbraio 1989, prima parte)
Macchine (3 febbraio 1989, seconda parte)
Esercitazione (9 febbraio 1989)
Esposizione (17 febbraio 1989, prima parte)
Non è venuta come vedevo (17 febbraio 1989, seconda parte)
Storia (20 aprile 1989)
Trasparenza (20 ottobre 1989)
Soglia (19 gennaio 1990, prima parte)
Inquadrature naturali (19 gennaio 1990, seconda parte)
Luce, inquadratura e cancellazione del mondo esterno (8 febbraio 1990)
Immagini per musica (4 giugno 1990)
Note
Ricordo di Luigi, fotografia e amicizia (di Gianni Celati)
Dati del libro
Nome libro: Lezioni di fotografia
Autore: Luigi Ghirri
A cura di: Giulio Bizzarri e Paolo Barbaro
Con uno scritto biografico di: Gianni Celati
Tipo di copertina: flessibile
Numero di pagine: 264
Editore: Quodlibet srl
Collana: Compagnia Extra
Data di pubblicazione: 2 dicembre 2009
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8874623127
ISBN-13: 978-8874623129
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