Infinito. L’universo di Luigi Ghirri
Infinito, l’universo di Luigi Ghirri è un docufilm di Matteo Parisini uscito nel 2022, a 30 anni dalla scomparsa del grande fotografo emiliano che con le sue fotografie ha rinnovato il nostro modo di guardare il mondo.
Il film, o meglio il documentario, ripercorre la vita e la carriera di Luigi Ghirri (Scandiano 5 gennaio 1943 – Reggio Emilia 14 febbraio 1992). E lo fa in un modo che personalmente ho apprezzato.
Ghirri ha sempre scritto con regolarità durante tutta la sua vita. Parisini, che ha scritto e diretto personalmente il film, ha quindi deciso di ripercorrere le tappe cruciali della vita del fotografo partendo dai suoi scritti, che vengono letti dalla voce fuori campo di Stefano Accorsi mentre scorrono alcune delle fotografie più famose di Ghirri.
Ma il regista ha scelto di raccontare Ghirri anche attraverso le testimonianze dei familiari e di alcuni suoi amici artisti, che lo hanno conosciuto e frequentato quando era in vita. Nel film compaiono quindi Roberta Ghirri (sorella), Elena Borgonzoni (sorella di Paola, la moglie di Ghirri), Ilaria Ghirri (figlia), Franco Guerzoni (pittore), Paolo Barbaro (storico della fotografia), Arrigo Ghi (stampatore), Gianni Leone (fotografo), Arturo Carlo Quintavalle (critico d’arte), Massimo Zamboni (musicista dei CCCP), Davide Benati (pittore). Ognuno di loro racconta il suo Ghirri, aggiungendo tasselli al racconto.
Grazie collaborazione con l’Archivio Ghirri, vengono inoltre proposti anche alcuni filmati in cui compare Ghirri nei suoi viaggi o durante alcune sessioni di scatti per i suoi progetti fotografici.
Luigi Ghirri, con le sue foto è stato testimone autentico di com’era l’Italia, in particolare la sua Emilia, nella seconda metà del Novecento. E lo ha fatto in modo del tutto personale, con le sue mezze tinte, colori pallidi e tendenti al pastello che sono il suo tratto distintivo.
A differenza di tanti colleghi non ha mai aggiustato la scena, non chiedeva espressioni particolari a chi veniva ritratto. Non cercava la foto ad effetto, ma voleva ritrarre il mondo come era. Si tratta di paesaggi urbani, la pianura padana, il mare, la campagna, la provincia. Foto in cui l’uomo è spesso assente o solo un dettaglio sfuggente.
Le foto di Ghirri potremmo definirle minimaliste, sembrano fotografie casuali, ma ovviamente non lo sono. Perché Ghirri prima di un essere fotografo era un pensatore. Prima di scattare studiava, ragionava, rifletteva. Anche perché prima di essere fotografo, Ghirri era un geometra (questa è stata la sua attività fino al 1974). Quando si è dedicato in modo professionale alla fotografia ha quindi portato con sé quell’idea di costruzione che era alla base del suo lavoro precedente. Proprio come un geometra, un fotografo deve misurare gli spazi esterni, progettare per costruire. E ha anche quando si è dedicato in modo professionale alla fotografia quindi portato anche nel suo modo di fare fotografia e ha portato con sé la sua visione. Come un geometra il fotografo deve misurare gli spazi esterni, progettare per costruire lo scatto voluto.
E lo ha sempre fatto ragionando non in termini singola immagine, ma di progetto, come un alfabeto in cui ogni immagine esiste solo grazie alle altre.
Ghirri, con il suo sguardo originale sul mondo è stato un fotografo davvero speciale e amato ancora oggi da molti appassionati di fotografia (tra cui anche io).
Dalla fine degli anni Settanta e fino agli inizi degli anni Novanta Ghirri ha scattato oltre 150 mila foto. Era un fotografo quasi compulsivo, ma sempre rispettoso dei soggetti che ritraeva, che fossero panorami, scorci metropolitani, sentieri di campagna o persone di passaggio. Le sue foto sono semplici e complesse allo stesso tempo. Per questo non si può non amare Ghirri.
Il film è molto piacevole, se vi piace lo stile fotografico di Ghirri, ovviamente vi consiglio di guardarlo.
Dove vedere il film
Il film è stato proiettato al cinema in varie città italiane. Io dovevo andare a vederlo il 17 aprile 2023 al Cinema del Carbone di Mantova (la mia città) alla presenza del regista, ma non sono riuscito. L’ho quindi recuperato mercoledì 3 maggio 2023 quando è stato proiettato su Rai 5.
Se ve lo siete perso, potete vederlo gratuitamente in streaming su Raiplay https://www.raiplay.it/
Le parole di Ghirri nel film
Come sempre sapete che mi piace raccogliere alcuni takeaways e concetti importanti dai libri che leggo e dai film che guardo. In questo caso mi sono appuntato i pensieri e gli scritti di Luigi Ghirri letti da Stefano Accorsi. Ve li lascio come sempre qui di seguito, sperando che possano interessare anche a voi.
I primi approcci alla fotografia
Ho cominciato a fotografare a 14 anni. Nulla di serio naturalmente, poi ho smesso. A 27, dopo la nascita di mia figlia, ho ripreso. La prima cosa che mi colpì della fotografia d’allora era l’assoluta mancanza del presente. Per me non è il Duomo di Modena che fa una città, sono l’insieme delle atmosfere presenti che fanno una città.
Il lavoro di geometra
Il lavoro di geometra mi ha insegnato molte cose sullo spazio, sul paesaggio. La costruzione pietra su pietra dell’ambiente partendo da un progetto. Il geometra misura gli spazi esterni proprio come un fotografo. Il progetto è un elemento di partenza per dare forma alle conquiste dell’uomo.
Album foto di famiglia e atlante geografico
Quando ero bambino guardavo l’album di famiglia o l’atlante geografico. Questi due libri così diffusi, apparentemente scontati, contenevano le due categorie del mondo e lo rappresentavano come io lo intendevo. L’interno e l’esterno, il mio luogo e la mia storia, i luoghi e la storia del mondo. Un libro per restare, un libro per andare. Forse questo è stato il mio primo incontro con l’opera fotografica.
Pensare è speculare per immagini
Giordano Bruno diceva che pensare è speculare per immagini. Aveva concepito addirittura le stanze della memoria, luoghi di penombra che per me oggi possono essere tranquillamenti paragonati alla camera oscura. All’interno di ogni stanza sono depositate determinate memorie, tutte concatenate le une alle altre. Io lavoro con la memoria, una memoria personale, però all’interno di un mondo in cui le informazioni sono di carattere collettivo.
La Pianura Padana
Una volta andando verso il Po ero in compagnia di un amico, appena ritornato dall’Africa. Mentre il nostro sguardo scorreva sulla pianura pensai a voce alta “però, non mi dispiacerebbe abitare in questi luoghi”. Il mio amico mi disse che mai vi avrebbe abitato. Io pensai subito a questa specie di panico e timore che facevano sì che i campi appena arati sembrassero più inospitali dei deserti o i pioppeti più infidi e misteriosi della giungla. Alla fine quasi mi convinsi, guardando con più attenzione, che l’avventura abitasse veramente la carreggiata e il ciglio della strada.
Il paesaggio
Il paesaggio non è là dove finisce la natura ed inizia l’artificiale, non è delimitabile geograficamente. L‘idea del fantastico penso che ben si adatti alla mia idea di paesaggio. Questo vedere un paesaggio come se fosse la prima e l’ultima volta determina un sentimento di appartenenza ad ogni paesaggio del mondo. Un sentimento che mi ricorda il gesto naturale di stare al mondo.
Fotografare persone di spalle
Ho fotografato molte persone di spalle. Ho voluto dare della persona un infinito numero di possibili identità. Dalla mia mentre fotografo a quell’ultima, quella dell’osservatore. Questo essere attori è per non dimenticare che la ricerca di un’identità è sempre una strada difficile.
Il rapporto con le immagini
Cinquecento anni fa una persona normale vedeva nella sua vita forse 500 immagini. Noi oggi nell’arco di una sola giornata vediamo 500 immagini, se non di più. Il suo rapporto con l’immagine quindi era estremamente più raro e probabilmente molto più profondo del nostro.
Guardare tutto come se fosse la prima e l’ultima volta
Oggi si avverte un bisogno di rifondazione di un nuovo alfabeto visivo. Un bisogno di purezza, di innocenza, di un sentimento dell’origine delle cose. Fotografare per me è rinnovare questo stupore, rovesciare il detto delle Ecclesiaste secondo cui non c’è niente di nuovo sotto il sole, per affermare al contrario che nulla è più antico. Recuperare lo sguardo che guarda tutto come se fosse la prima e l’ultima volta, che si meraviglia anche solo di fronte al miracolo della luce.
L’architettura e il paesaggio
Riconosco che da parte mia c’è stato un accentuato interesse verso certi luoghi che possiamo chiamare architettura. Le case che componevano le strade che abitavo, le strade che percorrevo ogni giorno erano e sono architettura.
Mettendoli in fila uno dopo l’altro questi luoghi formano una sequenza strana, un groviglio di monumenti, luci, pensieri, oggetti, momenti, analogie. Formano il nostro paesaggio della mente, che andiamo a cercare anche inconsciamente tutte le volte che guardiamo fuori da una finestra. Come fossero i punti di un’immaginaria bussola che indica una direzione possibile.
L’importanza del pensiero
Penso di essere un fotografo solo come seconda parte, per la prima sono una persona. Come tale penso, e il pensiero è un elemento fondamentale di quello che faccio.
Una costellazione di eventi
Quello che determina le cose è una costellazione di eventi. Dalla scoperta della magia della fotografia nella mia adolescenza al fascino che subivo da bambino dai film proiettati sui muri esterni della mia casa da un camion ambulante. Il vedere le fotografie di Walker Evans, usare per anni come segnalibro una cartolina che riproduceva un quadro di Van Gogh, le canzoni di Bob Dylan, la nascita delle mie figlie. Così ogni volta si rinnova lo stupore della meraviglia dell’altro. Credo che è questo che si può chiedere a una poesia, a un dipinto, a una canzone e a una fotografia.
Borges citava un pittore che volendo dipingere il mondo dipinse laghi, colline, monti, boschi, barche e uomini. Alla fine della vita, mettendo insieme i quadri e i disegni si accorse che questo immenso collage costruiva il suo volto.
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Bravo molto interessante! grazie!! Tiziana
Grazie Tiziana!