7 cose che ho imparato da Gianni Berengo Gardin sulla fotografia
Venerdì 11 ottobre 2019 ho partecipato all’incontro con Gianni Berengo Gardin sul tema “Sguardi sull’umanità” che si è svolto a Mantova.
Come mi piace fare, vi riassumo qui i miei takeaways, i concetti chiave da portare a casa, in sostanza quello che ho imparato da Gianni Berengo Gardin durante questo evento.
1. La fotografia è verità
Gianni Berengo Gardin racconta di non aver mai amato le fotografie costruite ad arte, messe in posa.
Ha raccontato un aneddoto di quando da giovane era andato a Parigi e frequentava i grandi fotografi del tempo. Frequentava ed era diventato amico di Robert Doisneau, ma poi avevano litigato perché Berengo Gardin aveva contestato a Doisneau il fatto di mettere in posa le persone nelle sue foto.
Molto spesso infatti Doisneau usava attori (vedi la celebre foto del Bacio davanti all’hotel De Ville), o amici e parenti nelle sue fotografie. Era un ottimo “regista” ma non un buon fotografo.
Da vero fotoreporter, l’idea di Berengo Gardin è che la fotografia debba essere usata per documentare la realtà.
2. La fotografia è documentazione
Berengo ha raccontato che lo fanno sorridere i fotografi che sul biglietto da visita scrivono “artista” perché secondo lui la fotografia è molto più vicina alla lettura che alla pittura.
Per Berengo Gardin la fotografia è cultura, documentazione.
Ha sempre pensato a progetti fotografici che avessero come obiettivo quello di documentare una determinata condizione, vedi ad esempio il suo reportage “Morire di classe”, che stampato consegnato a tutti i membri del Parlamento, fu importante per l’approvazione della Legge 180 del 1978 di Franco Basaglia.
3. La fotografia di reportage è in bianco e nero
Il Maestro ha raccontato di non aver mai scattato con una macchina fotografica digitale, anzi di averlo fatto una sola volta.
Preferisce scattare ancora in analogico, e rigorosamente in bianco e nero.
Secondo lui il reportage deve essere fatto con foto in bianco e nero, perché il colore potrebbe distrarre l’osservatore dal soggetto della fotografia. Esempio se nella foto c’è una macchia rossa, l’occhio si concentra su quella invece che sulle facce della gente.
Il bianco e nero è molto più fedele alla realtà rispetto al colore.
E poi lui è cresciuto con la televisione in bianco e nero, con le fotografie in bianco e nero e quindi è rimasto fedele a quello.
4. Prima di scattare bisogna pensare!
Berengo ha raccontato che una volta aveva visto una pubblicità di una casa produttrice di macchine fotografiche (non ha voluto precisare quale), che diceva: “non pensare, scatta”. Il suo consiglio invece è: “prima pensate, poi casomai scattate“.
Anche per questo motivo preferisce l’analogico al digitale. Perché avendo una pellicola con un numero limitato di scatti disponibili, si è indotti a pensare di più prima di scattare. Con le macchine fotografiche digitali invece si scatta “a mitraglia”.
Simpatico l’aneddoto che raccontato di un fotografo che è andato da lui a fargli un ritratto e in pochi minuti aveva fatto più di 100 foto. Per forza ne sarà venuta una giusta, ha commentato Berengo!
5. Bisogna fare foto buone, non foto belle
Un insegnamento che Berengo ha avuto da Ugo Mulas, fotografo milanese, è che bisogna fare foto buone, non fotografie belle.
Berengo, appena diventato professionista, era andato a trovare Ugo Mulas. Mulas gli mostrava le sue foto e Berengo continuava a dire “bella”, “bella questa”. Quindi Mulas gli ha detto di smetterla di dire che le foto erano belle, perché si offendeva.
Mulas gli ha quindi spiegato la differenza tra una bella foto e una buona foto. Una fotografia bella può essere tecnicamente perfetta, piacevole, però può non raccontare niente. La buona fotografia può essere leggermente sfocata o mossa, ma racconta un contenuto e da un’emozione a chi la guarda.
6. I libri di fotografia giusti sono meglio di 100 workshop
Berengo ha raccontato che quanto era giovane aveva uno zio in America che era molto amico di Cornell Capa, il fratello minore di Robert Capa.
Lo zio aveva chiesto a Capa che libri mandare a suo nipote in Italia per imparare a fare il fotografo. Berengo ha quindi ricevuto alcuni libri, che per lui sono stati importantissimi per imparare la fotografia americana. Allora non c’erano tanti libri sulla fotografia. E questo ha cambiato radicalmente il modo di fotografare di Gianni Berengo Gardin, gli hanno permesso di passare a fotoamatore a professionista.
Berengo ha consigliato quelli che secondo lui sono i libri fotografici fondamentali da avere, o leggere, quei libri che aiutano molto più che partecipare a tanti workshop:
- “American Photographs” di Walker Evans
- “Gli americani” di Robert Frank
- “New York” di William Klein
- “Images à la Sauvette” di Henri Cartier-Bresson
- “Un paese” di Paul Strand e Cesare Zavattini
7. Le fotografie devono essere stampate
Gli smartphone hanno ucciso la fotografia. Si fotografa tutto e non si stampa niente.
È invece importante stampare le foto, perché rimangano nella memoria.
Non per niente, Gianni Berengo Gardin ha all’attivo oltre 260 volumi pubblicati.
Anche per quanto riguarda la conservazione delle foto, secondo Berengo il negativo ha ancora i suoi vantaggi rispetto al digitale. Pensate che lui ha un archivio di oltre 1 milione e 800 mila scatti!
Vedi anche: Libro “Venezia e le Grandi Navi” di Gianni Berengo Gardin
Riassunto bellissimo, superlativo Grazie
Ciao Carmen, mi fa piacere che ti sia piaciuto!